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TAPPA 02: Montaldo di Cosola – Cartasegna

Tappa 2

Segnavia: n/d
Località di partenza: Montaldo di Cosola
Località di arrivo: Cartasegna
Dislivello in salita: 610 m circa
Dislivello in discesa: 623 m circa
Lunghezza: 11,5 Km
Tempo di percorrenza stimato, escluse le soste: 5.40 ore circa
Difficoltà: Escursionistico

Total distance: 11729 m
Max elevation: 1273 m
Min elevation: 860 m
Download file: Tappa2.gpx

La tappa parte dalla frazione di Montaldo di Cosola: la si attraversa  seguendo il sentiero CAI 229 e in breve si raggiunge il ponte sul Rio Tovaglia ad una altitudine di 867 m.
Il Rio Tovaglia è uno dei tanti affluenti che convergono a Cosola a formare il torrente Cosorella, a sua volta uno dei principali affluenti del Borbera.

Sorpassato il ponte e ignorato il  sentiero che si stacca sulla sinistra, si prosegue in leggera salita sempre seguendo i segnavia bianco rossi: al termine di un ampio tornante si giunge a un bivio e si prende il sentiero che attraversa un bosco di castagni che pian piano lasciano il posto ai faggi  e si arriva quindi a una radura, dove è presente una costruzione ormai abbandonata e dove sono posizionati alcuni tavoli con panchine.

Proseguendo nella faggeta si giunge, dopo circa 1 h 30 m di cammino, alla Fontana della Gallina: siamo infatti nella valle omonima, alle pendici del Monte Porreio. Da qui il cammino entra nell’Area contigua dell’Alta Val Borbera, istituita insieme all’omonimo Parco, e costeggia per un buon tratto la Zona Speciale di Conservazione (ZSC) IT1180011 – Massiccio dell’Antola, Monte Carmo, Monte Legnà.

Ancora una breve salita e poi un pianoro  porta al bivio per il Monte Porreio (1276 m), qui il panorama si allarga sui crinali dei monti Antola e Buio, mentre in basso a sinistra si scorgono già le case della borgata di Daglio. Si prosegue in discesa sempre seguendo il sentiero 229, lungo un tratto in cui il bosco di faggi è stato tagliato drasticamente e il paesaggio non è più quello fiabesco della salita, fino a raggiungere la congiunzione con la vecchia strada comunale che da Cosola portava a Daglio e si prosegue, ora in leggera discesa, fino all’abitato di Daglio.

Giunti alla Cappelletta si lascia il sentiero CAI 229 e si prosegue sul CAI 230, che permette di visitare il bel borgo di Daglio, caratterizzato da ristrutturazioni molto ben eseguite. L’abitato di Daglio segna inoltre l’ingresso del tracciato nella Zona Speciale di Conservazione. Tra scalette e ripide “crose” si arriva alla strada asfaltata proprio in prossimità di una fontana, dove è possibile fare rifornimento di acqua potabile. Si arriva quindi al parcheggio di Daglio e si prosegue per un breve tratto su asfalto fino al primo tornante dove, sulla destra, si diparte in salita una carrareccia  priva di segnaletica, che è necessario seguire per circa un chilometro fino a raggiungere, a quota 1044 m, un pianoro dove è presente una colonia, attualmente usata  come campo estivo per giovani.

Da qui si imbocca, sulla destra, un sentiero che, scendendo, attraversa tre affluenti del sottostante Torrente Ghiaion e  giunge nel punto dove sorge la Cappelletta intitolata a S.Rocco, da cui si scorge la frazione di Cartasegna. Proseguendo, si incrocia la strada asfaltata e quindi si entra in paese

Foto

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Strutture ricettive

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Prodotti tipici

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Video

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Box Informativo Tappa 14

I boschi dell’Appennino Piemontese

Circa tre quarti del territorio dell’Appennino Piemontese è boscato. Considerando un’area di circa 76.000 ettari, 16.000 circa sono castagneti, 11.000 querceti di rovere, 9.000 querceti di roverella, 5.300 orno-ostrieti e 4.500 faggete.
Il castagno, oggi in generale regressione per l’espansione delle specie autoctone, più adatte all’ambiente è la specie storicamente più diffusa;  il suo utilizzo ha caratterizzato il territorio montano dell’Appennino con frutti, legna da ardere, legname da opera, palerie per le colture e tanti altri utilizzi. 
Sui suoli calcarei invece il carpino nero e l’orniello hanno ricolonizzato numerosi ambienti abbandonati, espandendosi da boschi preesistenti. Tra le altre specie va segnalato anche il sorbo montano, la cui consistente presenza è indice della scarsa densità dei querceti e della progressiva rinaturalizzazione dei castagneti.
La significativa presenza nell’area dell’Appennino di profonde incisioni, vere e proprie forre, ha permesso inoltre la conservazione di una elevata biodiversità forestale, con presenza di latifoglie sporadiche come acero di monte, frassino, ciliegio, ciavardello e altre rosacee come pero e melo selvatico.
La recente espansione del bosco segue secoli di forte pressione umana per far spazio a coltivi e pascoli e soddisfare le necessità di legna. Questo eccessivo sfruttamento, unitamente alla comparsa di malattie quali il mal dell’inchiostro e il cancro del castagno, portarono a un generale stato di degrado, per cui le aree più compromesse, in tempi più recenti, sono state acquisite dal Demanio dello Stato e quindi rimboschite soprattutto con conifere, poco adatte alla zona perché non autoctone, a cura dell’Azienda di Stato delle Foreste demaniali.
Oggi si sta assistendo ad un ritorno alla “wilderness”, un processo lento, con rilevanti fasi intermedie di “seminaturalità”; rientrano, fra queste, le praterie aride sotto rimboschimenti stentati, che presentano un elevato interesse per la conservazione: ospitano splendide fioriture di orchidee e sono ottime zone di caccia per i rapaci come il biancone, simbolo di quest’angolo di Appennino.
L’ente delle Aree Protette dell’Appennino Piemontese, attraverso processi decisionali partecipativi con i residenti, ha approvato Piani di Gestione Forestali attenti alle molteplici funzioni del patrimonio boschivo locale: tutela e conservazione della biodiversità e del paesaggio, mantenere la stabilità del territorio, fissare la CO2, permettere la fruizione pubblica e assicurare la produzione di legna.